Il diritto agli alimenti, come previsto dall’art. 438 del Codice Civile, può essere riconosciuto al soggetto che si trova in un reale stato di bisogno, espresso nell’impossibilità di provvedere, in tutto o in parte, al soddisfacimento dei propri bisogni primari, per tali intendendosi non solo il cibo, ma anche l’abitazione, il vestiario, le cure mediche e quant’altro sia strettamente legato alla sfera della sopravvivenza. Sul richiedente l’assegno grava l’onere di provare non solo come le proprie condizioni economiche non siano da sole sufficienti a soddisfare le esigenze primarie di vita, ma anche l’oggettiva impossibilità di produrre un reddito sufficiente che gli consenta di mantenersi in maniera autonoma.
Questo è quanto ribadisce la prima sezione della Corte di Cassazione, con la recentissima ordinanza n. 6521 del 6 marzo 2019, cassando la precedente sentenza della Corte d’Appello di Palermo che aveva riconosciuto il diritto della figlia maggiorenne di percepire dalla madre l’assegno mensile a titolo di alimenti in ragione di un reddito insufficiente, tuttavia omettendo di provare di essere oggettivamente impossibilitata a procurarsi mezzi adeguati per la propria sopravvivenza. È, dunque, principio pacifico per giurisprudenza costante non consentire al figlio maggiorenne di pretendere la protrazione dell’obbligo di mantenimento “oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura”, in forza dei doveri di autoresponsabilità che incombono su qualsiasi persona adulta, poiché ciò si tradurrebbe in “forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani”.
avv. Marta Cipriani