Con la recentissima sentenza del 27 aprile 2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittime tutte le norme che, nell’ordinamento italiano, in modo automatico attribuiscono ai figli il cognome del padre in quanto “discriminatorie e lesive dell’identità del figlio”.
Sebbene la sentenza non sia ancora stata depositata – e per questo sarà necessario attendere ancora qualche settimana, così come occorrerà attendere il necessario intervento legislativo di modifica dell’automatismo finora vigente – con tutta evidenza siamo oggi dinnanzi ad una svolta epocale per il nostro Paese, in quanto il cognome costituisce un elemento fondamentale dell’identità personale di ognuno di noi.
Ma facciamo un piccolo passo indietro e chiariamo quale fosse la situazione fino a questo momento.
L’articolo 6 del Codice Civile dispone che ogni persona ha diritto al nome che le è attribuito per legge, intendendosi per “nome” il riferimento ad un nome e ad un cognome. L’attribuzione del cognome del padre da sempre rappresenta il riconoscimento formale della paternità poiché, se da un lato la maternità è sempre stata facilmente accertabile, ciò non avviene nel caso del padre, in base all’assunto per il quale “mater semper certa, pater nunquam”. Di conseguenza, nel caso di figlio nato in costanza di matrimonio, la legge fa valere la presunzione di paternità in favore del marito della madre, per cui il bambino nato da una coppia sposata porterà il suo cognome. Invece, in ipotesi di figli naturali – ovverosia nati al di fuori del vincolo matrimoniale – il cognome paterno é trasmesso al figlio in virtù di una consuetudine confermata dall’articolo 262 del Codice Civile, rubricato “Cognome del figlio nato fuori del matrimonio”. Tale disposizione prevede espressamente che (i) se il riconoscimento del bimbo viene effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, questo assumerà il cognome del padre; (ii) se il riconoscimento viene effettuato in due momenti diversi, il figlio assumerà il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto; (iii) se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio potrà assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre.
Pertanto, fino ad oggi, la coppia coniugata non può scegliere di trasmettere il solo cognome materno. Se, invece, i genitori non sono uniti in matrimonio, la madre che volesse attribuire al figlio il proprio cognome sarebbe costretta ad un escamotage, riconoscendolo per prima e assegnandogli il proprio cognome. Dopodiché, se il padre volesse dare il proprio cognome al figlio, dovrebbe innanzitutto riconoscerlo e successivamente proporre un ricorso al Tribunale dei Minorenni, il quale dovrebbe decidere se lasciare al bimbo il solo cognome materno, aggiungere quello del padre o sostituire quello materno con quello paterno.
Le fondamenta di tale istituto giuridico venivano minate già nel 2014 con la pronuncia “Cusan Fazzo VS Italie”, a mezzo della quale la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo affermava chiaramente come l’impossibilità per i genitori di attribuire al figlio il cognome della madre, anziché quello del padre, integrasse una violazione dell’articolo 14 (divieto di discriminazione) interpretato in combinato disposto con l’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della CEDU. Posizione ripresa nel nostro ordinamento e rafforzata con la storica pronuncia n. 286 dell’8 novembre 2016, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 28 dicembre 2016, quando la Corte Costituzionale, trovandosi ad esaminare il caso di una famiglia che contestava il rigetto, da parte dell’ufficiale di stato civile, della loro richiesta di aggiungere il cognome della madre a quello del padre al figlio nato fuori dal matrimonio, dichiarava la richiesta dei genitori conforme ai principi di costituzionalità e, anzi, riteneva che l’impossibilità di attribuire il cognome materno pregiudicasse il diritto all’identità personale del minore e, al contempo, costituisse una lesione dei valori costituzionali dell’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, determinandone un’irragionevole disparità.
Con tale pronuncia, dunque, la Corte, definendo l’attribuzione del solo cognome del padre “un retaggio di una concezione patriarcale della famiglia”, dichiarava incostituzionali l’articolo 262, comma 1, e l’articolo 299, comma 3, del Codice Civile nella parte in cui non consentono ai genitori, di comune accordo, di attribuire al figlio anche il cognome materno e, a seguito di ciò, è dunque divenuto possibile attribuire a tutti i bimbi nati o adottati il doppio cognome, tuttavia a condizione che i genitori siano concordi tra loro e purché il cognome materno segua quello paterno.
In tale contesto giuridico, si arriva dunque al 27 aprile scorso, quando la Corte costituzionale, riunita in camera di consiglio, è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi sulle questioni di legittimità costituzionale delle norme di attribuzione del cognome ai figli e, in particolare, sulla norma che non consente ai genitori, seppur di comune accordo, di attribuire al figlio il solo cognome della madre e su quella che, in mancanza di accordo, impone l’attribuzione al figlio del solo cognome del padre.
Come anticipato, la sentenza verrà depositata nelle prossime settimane ma, nel frattempo, l’Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte costituzionale ha comunicato che la Corte ha assunto posizione granitica nei confronti delle norme di cui sopra, dichiarando l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della CEDU.
Ne consegue che, previo accordo dei genitori, il figlio assumerà il cognome di entrambi i genitori nell’ordine da loro concordato o anche solo uno di questi alternativamente, quindi anche solo quello della madre. Qualora, invece, non dovesse esserci accordo tra i genitori, questi dovranno richiedere l’intervento del giudice, che pronuncerà in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico. E’ qui che si introduce la necessità attuale ed urgente di un intervento legislativo che possa fornire una risposta ai numerosi dubbi che sono già sorti in merito, unitamente alle prime critiche: cosa succederà alla seconda generazione? Accadrà che i figli di uno stesso nucleo familiare avranno cognomi diversi? In caso di disaccordo, quale cognome verrà preferito? In realtà a tal proposito già da tempo sono stati sottoposti all’attenzione della Commissione Giustizia al Senato diversi disegni di legge, per i quali sono in corso le audizioni degli esperti.
Ad ogni modo, alla luce dello storico percorso dell’istituto del cognome, è evidente come la pronuncia della Corte Costituzionale rappresenti una importante innovazione; infatti, se fino a qualche tempo fa usare il cognome materno era considerato un vezzo da pseudonimo artistico (basti pensare al pittore Pablo Picasso, che utilizzò il cognome della madre come nome d’arte perché più originale di Ruiz, ovverosia il cognome paterno), oggi la possibilità che sia tramandato il solo cognome della madre è una possibilità concreta. Tanto concreta che, in un caso, è già stata messa in pratica: infatti il Tribunale di Pesaro, con sentenza del 29 aprile 2022, in applicazione del mero testo del comunicato stampa della Consulta, il giorno successivo alla sua pubblicazione, ha ritenuto di accogliere il ricorso della madre che chiedeva di aggiungere il suo cognome a quello del padre, malgrado l’opposizione di quest’ultimo. La decisione del Tribunale di Pesaro è immediatamente esecutiva e l’Ufficiale Giudiziario ha avuto l’ordine di rettificare subito l’atto di nascita, annotando a margine il decreto.
avv. Marta Cipriani