La disamina dell’Ordinanza della Cassazione n. 27322/2021, pubblicata lo scorso 7 ottobre 2021, ci consente di affrontare il tema – ancor più amplificato dall’invasione dei social network nella vita privata degli individui – della condotta del lavoratore durante il periodo di malattia.
La casistica riguarda nello specifico quei lavoratori in malattia trovati a svolgere attività, di vario genere, sia lavorativa che extralavorativa, tra le quali, ad esempio, competizioni sportive, esibizioni artistiche o, più genericamente, attività impegnative dal punto di vista fisico, tali da pregiudicare il recupero delle energie lavorative.
La copiosa giurisprudenza formatasi sull’argomento stabilisce in maniera molto chiara che ciò che viene ad essere precluso, in costanza di malattia, non è lo svolgimento di qualunque attività, anche lavorativa, bensì quello di attività incompatibili con lo stato di salute, cioè tali da comportare un pregiudizio alla guarigione del lavoratore.
In pendenza della malattia, il dipendente è obbligato ad osservare obblighi di correttezza e buona fede, in virtù dei quali egli è tenuto ad adottare ogni cautela affinché cessi lo stato patologico cui è affetto, nonché a predisporre tutte le precauzioni del caso per facilitare e, quanto meno, non ostacolare la guarigione.
La sezione lavoro della Corte di Cassazione con Ordinanza n. 18245/2020 ha chiarito che “l’espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione e a giustificare il recesso del datore di lavoro (solo) laddove si riscontri che l’attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione”.
Ed ancora recentemente sul medesimo tema, la sezione lavoro della Cassazione n. 9647/2021 ha così statuito: “Lo svolgimento di altra attività da parte del dipendente assente per malattia giustifica il recesso per violazione dei criteri di correttezza e buona fede e degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, ove essa sia sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrandone la fraudolenta simulazione, nonché nel caso in cui la medesima, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e alle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio”.
Nel caso preso in esame, la Corte di Cassazione ha confermato il corretto operato del Collegio di merito che ebbe a ritenere ingiustificato il licenziamento irrogato ad un dipendente per aver svolto, durante il periodo di malattia, un’attività ritenuta non compatibile con la patologia che lo affliggeva ed, in ogni caso, ininfluente a pregiudicarne o ritardarne la guarigione.
Tale decisione venne adottata sulla base delle risultanze dell’espletata CTU medico legale nonché delle ulteriori evidenze istruttorie, dalle quali era emerso che le attività extralavorative svolte dal dipendente, nel periodo di malattia, non avevano aggravato la patologia – realmente esistente – né ritardato la guarigione.
La soggezione della fattispecie al regime della Legge Fornero consentiva, peraltro al dipendente di vedersi garantita, in conseguenza dell’accertata insussistenza del fatto contestato, la tutela reintegratoria piena.
avv. Stefania Massarenti