In caso di separazione personale dei coniugi, le decisioni riguardo l’istruzione del figlio minore di età vengono assunte da entrambi i genitori congiuntamente; ma cosa accade quando i genitori si trovano in disaccordo sulla tipologia di istruzione e, nello specifico, sull’educazione religiosa da impartire al figlio?
È questo il caso di due coniugi vicentini legalmente separati, entrambi intenzionati a trasmettere alla figlia secondogenita il proprio credo, con posizioni opposte circa la possibilità di iscriverla o meno all’ora di religione a scuola.
Nell’ottobre 2021 il Tribunale di Vicenza, adìto sul punto, facendo applicazione dell’art. 316 c.c. si pronunciava in favore del padre, stabilendo che la decisione in merito dovesse essere assunta da lui in via esclusiva, con conseguente iscrizione immediata della figlia alle lezioni di religione.
I giudici della Corte d’Appello di Venezia, ai quali si rivolgeva la madre della minore, influenzati dal contesto famigliare in cui era calata la bambina e dal percorso già seguito dalla sorella più grande, ritenevano di lasciare la decisione alla madre, convinti che potesse rispettare il migliore interesse della figlia in quanto “non spetta ad un Giudice sostituirsi ai genitori nello stabilire se un’educazione religiosa possa garantire – come ritiene il padre secondo le sue convinzioni – una crescita sana ed equilibrata”
La decisione è stata cassata in sede di legittimità con la recentissima pronuncia della Corte di Cassazione n. 6802 del 7 marzo 2023, la quale ha precisato come, in ipotesi di contrasto tra genitori separati, la scelta spetti proprio al giudice, in applicazione dell’art. 337 ter c.c., il quale dovrà effettuare una valutazione concreta dei fatti, libera da convinzioni personali, bensì orientata esclusivamente dal criterio-guida dell’interesse preminente del minore ad una crescita sana ed equilibrata: “il contrasto insorto tra genitori legalmente separati, entrambi esercenti la responsabilità genitoriale, sulla scuola religiosa o laica presso cui iscrivere i figli, deve essere risolto in considerazione dell’esigenza di tutelare il preminente interesse dei minori ad una crescita sana ed equilibrata, ed importa una valutazione di fatto, non sindacabile nel giudizio di legittimità, che può ben essere fondata sull’esigenza, in una fase esistenziale già caratterizzata dalle difficoltà conseguenti alla separazione dei genitori, di non introdurre fratture e discontinuità ulteriori, come facilmente conseguenti alla frequentazione di una nuova scuola, assicurando ai figli minori la continuità ambientale nel campo in cui si svolge propriamente la loro sfera sociale ed educativa”.
In attuazione di tale principio, il perseguimento dell’interesse del minore potrebbe anche comportare l’assunzione di provvedimenti limitativi dei diritti individuali della libertà religiosa dei genitori, laddove la loro esplicazione dovesse determinare conseguenze pregiudizievoli per il figlio, compromettendone la salute psichica e lo sviluppo.
Posizione, questa, già ribadita in passato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, chiamata a pronunciarsi sul divieto impartito ad un padre di coinvolgere la figlia in iniziative religiose dei Testimoni di Geova cui l’uomo, dopo la separazione, si era convertito: per la CEDU (pronuncia n. 61162/00 del 3/11/2005) un simile provvedimento limitativo non costituisce una discriminazione se finalizzato a garantire l’interesse superiore del minore che “consiste nel conciliare le scelte educative di ciascun genitore e nel cercare di trovare un equilibrio soddisfacente tra le concezioni individuali dei genitori, precludendo qualsiasi giudizio di valore e, ove necessario, stabilendo norme minime sulle pratiche religiose personali”.
avv. Marta Cipriani