A seguito della pronuncia n. 6070/2013 resa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, è ormai principio consolidato che la cancellazione volontaria dal Registro delle Imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisca che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Di talché, se l’estinzione della società cancellata intervenga in pendenza di un giudizio del quale essa è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dall’art. 299 c.p.c. e segg., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove, invece, l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta.
Rispetto a tale principio, la Suprema Corte ha fornito, con la decisione n. 25869/2020, un’importante precisazione in tema di prova della legitimatio ad causam, specificando che la stessa deve essere necessariamente fornita dall’ex socio che proponga impugnazione o vi resista. Ciò in quanto – hanno rilevato gli Ermellini – la suddetta Cass. n. 6070 del 2013, rispondendo al quesito su chi sia legittimato a impugnare o su chi debba essere il destinatario dell’altrui impugnazione avverso la sentenza pronunciata nei riguardi della società cancellata, individua detto soggetto “nel socio succeduto alla società estinta – supponendo che l’estinzione della società (di persone, come quella di capitali) determini un meccanismo di tipo successorio, che tale è anche se si vogliano rifiutare improprie suggestioni antropomorfiche derivanti dal possibile accostamento tra l’estinzione della società e la morte di una persona fisica – ma non esclude affatto che tale veste legittimante (ad impugnare o ad essere destinatario dell’impugnazione), perché possa essere posta a base della decisione, debba essere comunque espressamente allegata e dimostrata in limine litis.”
Il Giudice di legittimità si è espresso ulteriormente sul punto con la pronuncia n. 8521/2021, con cui ha evidenziato che il soggetto che agisce a tutela della pretesa creditoria di una società cancellata dal Registro delle Imprese “ha l’onere di allegare espressamente e, poi, di dimostrare la propria qualità di avente causa della società, come assegnatario del credito in base al bilancio finale di liquidazione oppure come successore nella titolarità di un credito non inserito nel bilancio e non oggetto di tacita rinuncia”, senza che assuma alcun rilievo la dichiarata qualità di ex-socio o di liquidatore, non necessariamente implicante la successione nelle pretese attive e passive della società.
Indicazioni ancora più precise in ordine alle allegazioni necessarie per dare dimostrazione della legitimatio ad causam da parte dell’ex socio della società cancellata vengono fornite dalla recentissima ordinanza 11278/2023, la quale espressamente statuisce che: “l’ex socio che intenda proseguire un giudizio nel corso della cui pendenza la società si è estinta ed è stata cancellata dal registro delle imprese, dovrà: 1) qualificarsi espressamente come successore nella titolarità della pretesa creditoria oggetto del giudizio pendente (e non semplicemente affermare di essere stato socio o liquidatore della società estinta e cancellata); 2) allegare e dimostrare che, sulla base del bilancio finale di liquidazione della società, la pretesa creditoria in questione sia stata a lui attribuita, ovvero che, laddove essa non sia stata affatto oggetto di liquidazione né sia stata presa in considerazione nel bilancio finale di liquidazione, ciò non sia avvenuto in conseguenza di una tacita rinunzia alla stessa, ma per altre ragioni (che dovrà, ove occorra, indicare in modo puntuale e documentare).
La questione non è di poco rilievo, posto che la mancanza di prova in ordine alla legittimatio ad causam – rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, attenendo all’accertamento della regolare instaurazione del contraddittorio – determina l’inammissibilità dell’impugnazione.
avv. Francesca Marra