Una questione di frequente sottoposta all’esame del Giudice amministrativo, attese le rilevanti implicazioni che assume in punto di limitazione della capacità edificatoria delle aree di proprietà privata, è quella della natura conformativa o espropriativa del vincolo derivante dalla destinazione di aree per attrezzature e servizi nei piani regolatori generali.
Come noto, i criteri distintivi delle due tipologie di vincolo sono stati delineati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1999. In particolare, mentre con il vincolo conformativo si provvede alla zonizzazione del territorio comunale, o di parte di esso, così da incidere su una generalità di beni e nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione della zona urbanistica in cui i beni ricadono, il vincolo preordinato all’espropriazione è invece incidente su beni determinati ai fini della localizzazione di un’opera pubblica.
La giurisprudenza amministrativa riconosce natura conformativa (con conseguente inapplicabilità del termine quinquennale di decadenza a norma dell’art. 9, D.P.R. n. 327/2001) ai vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore per attrezzature e servizi.
Il Consiglio di Stato si è espresso al riguardo nella recente decisione della Sezione IV, 22.05.2023 n. 5044, avente a oggetto una deliberazione comunale con la quale, in sede di approvazione della strumentazione urbanistica locale, l’area di proprietà degli appellanti era stata destinata a verde pubblico, prevedendo l’edificazione di una parte di essa a fronte della cessione gratuita al Comune della porzione residua a titolo perequativo.
La pronuncia si pone in linea con l’orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2022 n. 1142; id., Sez. II, 24 ottobre 2020, n. 6455) secondo cui la destinazione a verde pubblico impressa dallo strumento urbanistico ad aree di proprietà privata “non implica l’imposizione sulle stesse di un vincolo espropriativo, ma solo di un vincolo conformativo, che è funzionale all’interesse pubblico generale conseguente alla zonizzazione effettuata dallo strumento urbanistico e i vincoli di destinazione per attrezzature e servizi, fra i quali rientra ad esempio il verde pubblico attrezzato, realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua in regime di economia di mercato, hanno carattere particolare, ma sfuggono allo schema ablatorio e alle connesse garanzie costituzionali in termini di alternatività tra indennizzo e durata predefinita”. Precisa inoltre che, nel caso scrutinato dal Collegio, la destinazione di parte dell’area degli appellanti a verde pubblico non rappresentava vincolo espropriativo, inserendosi in una logica perequativa priva di finalità discriminatorie in quanto coerente con scelte di pianificazione da tempo adottate dal Comune.
Va tuttavia evidenziato come il potere dell’Amministrazione di “conformare” all’interesse pubblico il diritto di proprietà mediante l’introduzione di limitazioni legali atte a comprimere, senza indennizzo, facoltà inerenti al suo esercizio, non possa giungere al punto da privarlo di ogni contenuto e valore patrimoniale, secondo insegnamento che risale alla decisione della Consulta n. 55/1968 e risente del dibattito dottrinale tra quanti configurano lo ius aedificandi come consustanziale al diritto di proprietà e chi sostiene che la facoltà di conformazione della proprietà fondiaria rappresenti oggetto del potere pubblico di pianificazione urbanistica.
In questo senso, sul tema dell’apposizione di vincoli conformativi da zonizzazione si sono levate voci critiche rispetto a un’aprioristica considerazione degli stessi come non ablatori (e quindi non indennizzabili).
Perché infatti un’operazione consimile possa ritenersi legittima, la stessa – implicando una riduzione della potenzialità edificatoria – non deve risolversi in un surrettizio svuotamento del diritto di proprietà: il che avverrebbe nell’ipotesi in cui l’Amministrazione assegnasse a un’area la destinazione ad attrezzature e servizi senza procedere, nel corso del periodo di efficacia dello strumento urbanistico, all’adozione degli atti consequenziali e prodromici alla loro effettiva realizzazione e reiterasse poi la medesima destinazione e i relativi vincoli, in tal modo finendo per sottrarre a tempo indeterminato al privato il bene di sua proprietà.
Detta eventualità è stata recisamente stigmatizzata dalla sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana 28.03.2022, n. 383, che ha paventato come il Comune, “per evitare di assoggettarsi ai termini perentori ed alle regole certe del procedimento espropriativo – ben potrebbe, facendo uso distorto del suo potere di «zonizzazione» (e, in ultima analisi, del potere di conformazione del diritto di proprietà), imprimere a vaste aree la destinazione di «verde pubblico» (o di «viabilità») al solo fine di riservarsene – come fosse titolare di una sorta di inedito «diritto di opzione» (autoritativamente ed unilateralmente costituito) – la futura ed eventuale acquisizione, svuotandole nel frattempo – e, ciò che è peggio, sine die e senza ristoro per il proprietario – di ogni capacità edificatoria e di ogni valore economico (e precostituendosi, per di più, l’ulteriore vantaggio della eventualità di un successivo esproprio «a buon mercato»)”.
Emerge, una volta ancora, il problema del delicato contemperamento tra esercizio del diritto dominicale e potere dell’Amministrazione di imporre un sacrificio alla proprietà privata in nome del perseguimento di un vantaggio per la collettività.
avv. Gregorio Paroni