A partire dalla decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 22 del 2021 può dirsi ampiamente consolidato l’insegnamento della giurisprudenza secondo cui il criterio della vicinitas, intesa quale stabile collegamento con la zona interessata da un intervento urbanistico-edilizio, risulta idoneo a definire la sussistenza di una posizione giuridica qualificata e differenziata in astratto configurabile come interesse legittimo e, quindi, a fondare la legittimazione ad agire del proprietario di un immobile situato in prossimità dell’intervento contestato.
Ai fini, invece, della verifica di ricorrenza della concorrente condizione dell’azione data dall’interesse al ricorso, occorre guardare all’utilità che il ricorrente potrà ricavare dall’annullamento del provvedimento impugnato e dal conseguente effetto ripristinatorio. Da qui, la necessità di fornire la prova di una concreta lesione di carattere patrimoniale (ad esempio, una diminuzione di valore del preesistente immobile di proprietà) e/o ricollegata alla compromissione, in ragione del progetto autorizzato, delle condizioni di vita e del diritto alla salute.
Tale pregiudizio, che deve rappresentare oggetto di indagine e accertamento da parte del Giudice amministrativo, non può quindi ricomprendere situazioni soggettive suscettibili di essere lese dall’intervento assentito solo in via indiretta e riflessa.
In questa logica si pone la recente sentenza del T.A.R. Sardegna, Sez. I, 5 agosto 2023 n. 614, che ha dichiarato inammissibile un ricorso proposto al fine di ottenere l’annullamento di un provvedimento comunale di autorizzazione alla realizzazione di un’opera di pubblico interesse da parte di proprietari di abitazioni prospicienti l’area coinvolta, i quali vantavano – per ciò solo – aspettative qualificate alla non alterazione dello stato dei luoghi: pretesa ritenuta inidonea a fondare l’interesse all’azione, “dovendo essere per contro fornita la prova concreta (o quantomeno un principio di prova) del vulnus specifico inferto dall’atto impugnato alla sfera giuridica di questi ultimi [i proprietari ricorrenti, n.d.r.], corrispondente a pregiudizi concreti e oggettivi, che non possono esaurirsi in una mera prospettazione soggettiva su maggiore antropizzazione, inquinamento acustico causato dagli impianti che costituiscono l’opera, minore qualità panoramica, ambientale e paesaggistica, oltre a una “significativa” diminuzione di valore dell’immobile”.
La decisione merita attenzione in quanto si riferisce a intervento edilizio da realizzarsi in area di elevata valenza naturalistica: di modo che l’eventuale rilevanza ambientale del sito, pur degna di tutela, non può valere da sé a radicare l’interesse al ricorso avverso il provvedimento autorizzativo in capo ai proprietari che non abbiano fornito, in sede giudiziale, elementi atti a comprovare l’effettivo pregiudizio sofferto (o, comunque, ragionevolmente prospettabile) in dipendenza della realizzazione dell’opera.
In linea con l’orientamento sopra esposto risulta la decisione, di poco precedente, del T.A.R. Puglia – Bari, Sez. III, 1° agosto 2023 n. 1056, che ha ritenuto ammissibile il ricorso laddove sussistano, contemporaneamente, le circostanze della proposizione del gravame da parte del proprietario di un immobile confinante con l’area interessata dall’intervento edilizio in contestazione e dell’effettiva prossimità tra i due immobili, nonché “un apprezzabile principio di prova del fatto che parte ricorrente, a seguito del rilascio dell’atto di assenso edificatorio in favore del confinante, ha subito un pregiudizio” (nel caso ivi trattato, la compromissione di una piena visuale panoramica).
Corrisponde peraltro a un condivisibile criterio di ragionevolezza l’ulteriore rilievo del Tribunale pugliese, inteso a temperare la rigidità applicativa dell’onere probatorio posto a carico del ricorrente, secondo cui la prova dell’interesse al ricorso “non può certo costituire materia di adempimento eccessivamente oneroso per il ricorrente perché ciò significherebbe comprimere, oltre necessità, il diritto di agire in giudizio a tutela dei propri interessi legittimi”.
Da qui, la ritenuta sufficienza di un principio di prova che valga a evidenziare la plausibilità del danno lamentato, rimesso alla valutazione dell’organo giudicante.
avv. Gregorio Paroni