I “versamenti in conto futuro aumento di capitale” sono dazioni del socio corrispondenti a veri e propri acconti su versamenti che saranno dovuti, in ragione dell’intenzione di sottoscrivere un determinato aumento di capitale, ancora non deliberato ma pur sempre individuato con un certo grado di chiarezza.
Affinché la dazione sia ricondotta a tale categoria, è infatti necessario che la subordinazione ad un aumento di capitale sia chiara ed inequivoca, mediante l’indicazione ex ante di elementi sufficientemente specifici e dettagliati; tali elementi devono indurre a ritenere effettivamente convenuta tra i soci l’effettuazione non di un versamento tout court a favore delle casse sociali, ma di un versamento avente titolo e causa concreta proprio nella partecipazione al capitale sociale mediante un futuro conferimento, che, sebbene meramente rinviato rispetto al momento della dazione materiale della somma, sia comunque sin dall’inizio volto, secondo la complessiva operazione programmata dai soci, ad aumentare la rispettiva quota di partecipazione sociale, in termini assoluti.
Ove l’aumento non sia operato, il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato: non a titolo di rimborso di somma data a mutuo, ma per essere venuta successivamente meno la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società, quale ripetizione dell’indebito.
I “versamenti in conto futuro aumento di capitale” devono essere iscritti in bilancio come riserva, e non come finanziamento soci, in quanto, ove l’aumento intervenga, le somme confluiscono automaticamente nel capitale sociale, mentre, in caso contrario, devono essere restituiti, in conseguenza del mancato perfezionamento della fattispecie programmata (Cass. n. 34503/2021).
Nel caso in cui sorga contenzioso circa la restituzione delle dazioni di denaro operate dai soci, stabilire se un determinato versamento tragga origine da un mutuo o se invece sia state effettuato quale apporto del socio al patrimonio della società è questione di interpretazione riservata al giudice di merito, non essendo esaustiva, ai fini della sua classificazione, la denominazione con cui il versamento è stato registrato nelle scritture contabili.
A riguardo si è recentemente pronunciata la Sezione Imprese del Tribunale di Catanzaro, con la sentenza n. 487 pubblicata il 28/02/2024, la quale rifacendosi agli insegnamenti del Supremo Collegio, ha precisato: “L’indagine sul punto deve tenere conto soprattutto, al di là della denominazione con la quale il versamento è stato registrato nelle scritture contabili della società, del modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, tenendo conto delle finalità pratiche perseguite, degli interessi implicati e della reale intenzione dei soggetti – socio e società – tra i quali il rapporto si è instaurato (Cass. n. 7980/ 2007). In particolare, per qualificare la dazione come versamento in conto futuro aumento di capitale, l’interprete deve verificare che la volontà delle parti di subordinare il versamento all’aumento di capitale risulti in modo chiaro e inequivoco, utilizzando, all’uopo, indici di dettaglio (quali l’indicazione del termine finale entro cui verrà deliberato l’aumento, il comportamento delle parti, eventuali annotazioni contenute nelle scritture contabili o nella nota integrativa al bilancio, clausole statutarie) e, comunque, qualsiasi altra circostanza del caso concreto, capace di svelare la comune intenzione delle parti e gli interessi coinvolti, non essendo, all’uopo, sufficiente la sola denominazione adoperata nelle scritture contabili” (Cass. Ord. n. 24093/2023).
avv. Francesca Marra