Secondo un ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione – si veda da ultimo Cass. Civ. Ordinanza 18 febbraio 2019, n. 4704 – in caso di società di capitali a “ristretta base partecipativa” (ossia di società composte da un ristretto numero di soci – come tali detentori di partecipazione qualificata – molto spesso legati fra loro da vincoli di parentela) “è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati” in capo alla società(v. fra le molte Cass. 10793/2016), di talché è ragionevole ritenere, salvo prova contraria, che un socio abbia occultamente percepito la quota di utile evasa dalla società in proporzione al capitale detenuto. Conseguentemente, ove un controllo fiscale si concluda con la ricostruzione di maggiori ricavi rispetto a quelli contabilizzati e dichiarati dalla società verificata, ne consegue l’accertamento degli utili extra bilancioa carico della stessa e la formulazione di pretesa fiscale anche nei confronti dei soci, in virtù della presunta distribuzione dell’utile occultato.
Il fondamento di tale – censurabile – automatismo accertativo risiede nel vincolo di solidarietà gestionale degli affari societari che, secondo la predetta visione giurisprudenziale, lega normalmente i membri di una ridotta compagine sociale, sicché tutti i soci più o meno in concorso, sono considerati complici nella produzione e distribuzione dei proventi dell’evasione. Il contribuente può disinnescare tali congetture, dando la prova che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti. Non risulta invece sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili.
Su tale contesto vanno ora ad impattare le disposizioni della Legge di bilancio 2018 che ha introdotto una totale parificazione nella tassazione dei dividendi relativi alle diverse tipologie di partecipazioni (qualificate e non), assoggettando entrambi a tassazione nella misura del 26% con ritenuta a titolo di imposta per i dividendi. Si può pertanto legittimamente ipotizzare che, a partire dall’utile “fuori-bilancio” accertabile dal periodo di imposta 2018, il Fisco infatti, al pari di quanto già avviene per le partecipazioni non qualificate, non potrà che contestare, all’atto dell’accertamento dell’occulta distribuzione dei dividendi qualificati, alla società l’omissione degli obblighi di sostituzione di imposta, mentre non potrà azionare la presunzione di distribuzione verso i soci, che non soggiacciono più ad alcun obbligo dichiarativo (né per fare concorrere al reddito complessivo Irpef la percezione dei dividendi incassati alla luce del sole né per vedere accertata un’eventuale omissione dichiarativa di quelli occulti).
Comunque, nonostante che la nuova ritenuta di imposta impedisca contestazioni dirette per infedeltà dichiarativa dei soci, all’Erario resterà la possibilità di rivendicare tributi nei confronti degli stessi a seguito della percezione di dividendi “in nero”, avvalendosi della previsione dell’art. 35 DPR n. 602/1973, che prevede la responsabilità solidale del sostituito per le ritenute “a titolo di imposta” che non siano state “né effettuate né versate” dal sostituito.
avv. Francesca Marra