Una lettura dell’art. 264 del D.L. “Rilancio”
Nell’ambito delle svariate misure adottate per far fronte all’emergenza epidemiologica in corso, l’art. 264 del D.L. n. 34 del 19 maggio 2020 (c.d. “Decreto Rilancio”) si segnala per aver introdotto alcune disposizioni di liberalizzazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi.
È bene chiarire sin dal principio che non si tratta di disposizioni “a regime”, bensì di modifiche e/o deroghe alla normativa ordinaria il cui ambito di applicazione risulta rigidamente circoscritto sia nel tempo (fino al 31 dicembre 2020) sia nell’oggetto (relazione con l’emergenza COVID-19).
Ciò premesso, il legislatore governativo si è mosso lungo due direttrici: da un lato, l’eliminazione degli oneri documentali gravanti sul privato; dall’altro, l’abbreviazione di alcuni termini del procedimento amministrativo con l’obiettivo di giungere quanto prima a una determinazione conclusiva stabile e definitiva.
Si è dunque disposto, limitatamente ai procedimenti avviati su istanza di parte e aventi ad oggetto l’erogazione di sussidi o benefici economici comunque denominati in relazione all’emergenza COVID-19, che le autocertificazioni sostituiscono ogni tipo di documentazione comprovante tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla normativa di riferimento, anche in deroga ai limiti previsti dagli stessi o dalla normativa di settore, fatto comunque salvo il rispetto delle disposizioni del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (art. 264, comma 1, lett. a), D.L. cit.).
Solo per i provvedimenti conclusivi di siffatti peculiari procedimenti, si prevede poi che la P.A. possa esercitare il potere di revoca ai sensi dell’art. 21-quinquies della l. 241/1990 “solo per eccezionali ragioni di interesse pubblico sopravvenute” (art. 264, comma 1, lett. d), D.L. cit.).
Sul versante dei termini procedurali, si riduce da 18 a 3 mesi il termine entro cui la P.A. può intervenire in autotutela rispetto a provvedimenti e segnalazioni certificate afferenti all’emergenza COVID-19 (art. 264, comma 1, lett. b) e c), D.L. cit.), mentre si impone al responsabile del procedimento di adottare il provvedimento conclusivo entro 30 giorni dalla formazione del silenzio-assenso nell’ambito di conferenze di servizi o all’esito di una richiesta di parere o nulla osta indirizzata ad altra amministrazione (art. 264, comma 1, lett. e), D.L. cit.).
Viene infine introdotto uno speciale regime di liberalizzazione per gli interventi, anche edilizi, necessari ad assicurare l’ottemperanza alle misure di sicurezza prescritte per far fronte all’emergenza sanitaria, che sono comunque ammessi nei limiti dell’articolo in commento e nel rispetto delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di tutela dal rischio idrogeologico e di tutela dei beni culturali e del paesaggio.
Per tali interventi, “consistenti in opere contingenti e temporanee destinate ad essere rimosse con la fine dello stato di emergenza”, non sono richiesti i permessi, le autorizzazioni o gli atti di assenso comunque denominati eventualmente previsti, ad eccezione dei titoli abilitativi paesaggistici laddove necessari; basta invece una preventiva comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale, asseverata da un tecnico abilitato e corredata da una dichiarazione del soggetto interessato che attesti trattarsi di opere necessarie all’ottemperanza alle misure anti-COVID.
Se pure i suddetti interventi devono presentare – come appena evidenziato – i requisiti della contingenza e della temporaneità, cionondimeno il legislatore si è premurato di disciplinare una procedura ad hoc per la conservazione dei medesimi al termine dell’emergenza, purché conformi alla disciplina urbanistica e edilizia vigente: si tratta in sostanza di uno speciale accertamento di conformità, che può essere effettuato – dietro richiesta da presentarsi entro il 31 dicembre 2020 – mediante provvedimento espresso da adottare entro 60 giorni dalla domanda, con esonero dal contributo di costruzione eventualmente previsto.
Quanto all’organizzazione dell’iter autorizzatorio, il D.L. in discorso si limita a rinviare, per quanto riguarda l’acquisizione delle autorizzazioni e degli atti di assenso comunque denominati, ove prescritti, alla disciplina della conferenza di servizi semplificata (art. 14 e ss. L. 241/1990), mentre per l’autorizzazione paesaggistica, qualora ne sussistano i presupposti, rimanda alle disposizioni sull’accertamento di compatibilità (art. 167 D.Lgs. 42/2004).
Conclusivamente, così tratteggiate per sommi capi, le disposizioni sopracitate potrebbero pure preludere a un disegno di più radicale riforma del procedimento amministrativo, ma allo stato attuale si presentano come piccoli ritocchi di diritto eccezionale a un sistema che pare rimanere invariato nella forma e nella sostanza: solo la legge di conversione e la prassi applicativa, anche giurisprudenziale, consentiranno di esprimere una valutazione più approfondita dell’impatto di simili misure.
avv. Nicolò F. Boscarini