In sede di separazione coniugale e divorzio, al coniuge affidatario della prole può essere assegnata la casa famigliare, anche se di proprietà esclusiva dell’altro coniuge, affinché possa essere assicurata ai figli la conservazione dello stesso ambiente in cui si è sempre articolata la vita domestica.
Ciò sulla base del consolidato principio dell’art. 337 sexies del Codice Civile, introdotto con la Riforma della Filiazione del 2012, per cui “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”, per tali intendendosi i figli minori o maggiori d’età ma non economicamente autosufficienti senza propria colpa.
Anche la giurisprudenza oggi maggioritaria è volta ad attribuire al provvedimento di assegnazione natura di tutela dell’interesse della prole, evitandone il forzoso allontanamento dall’habitat familiare sempre goduto.
Ciò anche nell’ipotesi in cui il figlio, maggiorenne ma non indipendente, si sia allontanato dalla casa famigliare per ragioni di studio o di lavoro: è quanto accaduto con la recente sentenza del 17 ottobre 2017, con la quale il Tribunale di Roma, sezione I, disponendo il divorzio dei coniugi, a fronte della domanda di revoca dell’assegnazione della casa famigliare avanzata dal coniuge proprietario e non assegnatario dell’immobile, ha rigettato la richiesta confermando l’assegnazione della casa al coniuge affidatario della figlia, sebbene questa fosse ormai non più convivente, basandosi sul “legame affettivo” ancora esistente tra la ragazza e la casa.
La ratio è rinvenuta nella necessità di non privare la prole del godimento dell’immobile, anche nel caso in cui il figlio per motivi di studio o di lavoro dovesse allontanarsi per non brevi periodi, sussistendo sempre uno stabile legame con l’abitazione del genitore, ove il figlio può ritornare ogni volta che gli sia possibile.
avv. Marta Cipriani