Nel procedimento di separazione personale dei coniugi, la domanda di addebito è accessoria e subordinata ex art. 151, comma 2, codice civile alla violazione dei doveri coniugali che sia, al contempo, causa della crisi del rapporto matrimoniale, ovverosia tale da aver determinato l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
I comportamenti idonei ad integrare la pronuncia di addebito non si limitano alla violazione dei diritti e dei doveri derivanti ai coniugi dal matrimonio (artt. 143, 144 e 147 codice civile) ma, più in generale, riguardano la lesione dei diritti fondamentali della persona la cui inviolabilità è garantita dall’ordinamento.
È dell’8 marzo 2021 la sentenza n. 266 con la quale il Tribunale di Como ha ritenuto fondata la domanda di addebito della separazione a carico del marito, il quale aveva mantenuto nei confronti della moglie plurime condotte aggressive ed ingiuriose, concretizzatesi in aggressioni fisiche e verbali, minacce di morte, controllo ossessivo della donna mediante l’installazione di microspie nella casa coniugale, nella borsa e nell’orologio, insulti, offese e denigrazioni pubbliche postate sul social network Facebook.
Il Tribunale di Como, recependo la posizione della Corte di Cassazione, a partire dalla pronuncia n. 5397 del 6 dicembre 1989, cristallizzata nella successiva giurisprudenza, ha ritenuto che tali comportamenti integrassero una grave violazione dei doveri coniugali, intesa come violazione dell’obbligo di assistenza e collaborazione: “tutti gli atteggiamenti che comportino offesa alla personalità del coniuge, imposizioni, mancanza di lealtà, violazione della riservatezza in ordine alle vicende coniugali e personali ed intolleranza, integrano violazione del dovere di assistenza e collaborazione coniugale e possono comportare l’addebito della separazione, allorché siano – al contempo – causa della crisi coniugale”.
Nel caso in esame, particolare rilevanza ha assunto la diffusione, a mezzo social network (Facebook), di insulti e denigrazioni da parte del marito ai danni della moglie, che i giudici comaschi hanno ritenuto costituire, oltre alla violazione dei doveri coniugali, altresì la lesione dei diritti fondamentali della persona, tanto da determinare anche una condanna penale dell’uomo per il reato di maltrattamenti in famiglia.
È dalla stessa giurisprudenza di legittimità (ex multis, n.13983/2014) che deriva il concetto di “mobbing familiare”, inteso in mero senso descrittivo e senza alcuna autonoma rilevanza giuridica, ma idoneo a descrivere quell’insieme di condotte offensive, denigratorie e svalutanti del coniuge nell’ambito del nucleo parentale ed amicale, finalizzate a danneggiare e causare pregiudizio, anche psicologico, all’altra parte.
Secondo il Tribunale di Como, in questo caso l’offesa al coniuge si è rivelata ancor più grave poiché, tramite la diffusione su Facebook, la diffamazione è stata estesa ben oltre l’ambito parentale ed amicale, divenendo accessibile ad una moltitudine indeterminata di soggetti, tanto da essere ritenuta lesiva dell’onore, del decoro e della reputazione della moglie; ciò ha determinato la crisi coniugale e l’impossibilità della prosecuzione della convivenza e, in quanto tale, ha giustificato l’addebito della separazione a carico del marito.
avv. Marta Cipriani