Prosegue da tempo la querelle giurisprudenziale in merito alla possibilità per l’Ente di usufruire della sospensione del procedimento con messa alla prova, previsto per le persone fisiche e disciplinato dagli articoli 168 bis ss c.p. e 464 ss c.p.p.
L’istituto prevede che il procedimento instaurato a carico dell’autore del reato venga sospeso per il periodo necessario a svolgere i lavori socialmente utili, al cui buon esito consegue l’emissione di una sentenza di non doversi procedere per intervenuta estinzione del reato.
La domanda alla quale i Giudici stanno tentando di rispondere è se il predetto istituto possa essere applicato anche alle Società che siano incorse in responsabilità ex D.Lgs. 231/01 in assenza di una espressa disciplina in merito.
Come noto, con l’entrata in vigore del D.Lgs. 231/01, a carico dell’Ente può essere instaurato un procedimento a seguito della commissione a suo vantaggio od interesse di determinati reati da parte di un soggetto apicale o sottoposto all’altrui direzione.
Chiamati ad analizzare alcune istanze di sospensione del procedimento a carico dell’Ente con applicazione della messa alla prova, i Tribunali di Milano, Bologna e Modena hanno espresso orientamenti in contrasto tra di loro.
Se dapprima il Tribunale meneghino – facendo propria la sentenza n. 36272/16 della Cassazione a Sezioni Unite – aveva ritenuto non applicabile il rito speciale della messa alla prova nei procedimenti “penali” a carico degli Enti, così come ha fatto poi anche il Tribunale di Bologna, negli ultimi mesi dello scorso anno, il Tribunale di Modena ha emesso due provvedimenti opposti.
In un primo procedimento il Gip di Modena accoglieva l’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova sia per l’autore del reato che per la S.p.A. imputata ex D.Lgs. 231/01, e nell’ottobre 2020 pronunciava sentenza di non doversi procedere nei confronti degli imputati dichiarando il reato e l’illecito amministrativo estinti per esito positivo della messa alla prova.
Il GIP di Modena ammetteva l’Ente alla messa alla prova dopo che questi aveva articolato con l’UEPE un programma nei termini che seguono:
- restitutio in integrum del bene leso o messo in pericolo dal reato presupposto, attuando le condotte che si ravvisino necessarie per elidere, o quantomeno, attenuare le conseguenze in termini di offesa che il fatto della persona fisica ha determinato, compreso ovviamente, nei limiti della sua esigibilità e possibilità materiale e giuridica;
- il risarcimento del danno;
- la revisione del Modello Organizzativo di Gestione, attraverso il potenziamento di procedure di controllo relative all’area aziendale in cui si è verificato l’illecito;
- lo svolgimento di una attività di volontariato consistita, nel caso di specie, nella fornitura gratuita di una parte della propria produzione (si trattava di un’azienda che produceva pasta) ad un ente religioso.
Successivamente, con una sentenza del 15 dicembre u.s., in un altro caso il Tribunale rigettava la richiesta di messa alla prova dell’Ente, ponendo, però, di nuovo l’accento sull’importanza per l’Ente di adottare un Modello Organizzativo.
Ciò rappresentato, non resta che sperare in un intervento normativo volto a dirimere la controversia sull’applicabilità o meno dell’istituto analizzato anche agli Enti.
avv. Federica Beltrame