Con la sentenza n. 6087/2021, le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto giurisprudenziale in merito alla qualificazione giuridica dell’indebita appropriazione del PREU (Prelievo Erariale Unico) da parte del gestore degli apparecchi da gioco leciti ritenendo integrato il reato di peculato.
Dopo aver confermato che il gestore del gioco lecito ricopre la qualifica di agente contabile ex art. 178 R.D. 827/1924 ed ha quindi il compito di raccolta, rendicontazione e riversamento della quota parte della giocata sotto forma di PREU nelle casse dell’Erario secondo quanto previsto dal D.M. 86/2004, la Corte si è soffermata sulla definizione degli incassi del gioco, elemento sul quale si erano creati orientamenti contrastanti.
Secondo le Sezioni Unite, gli incassi al netto del denaro restituito quale vincita agli scommettitori devono essere ritenuti “denaro pubblico”, posto che “il denaro versato dai giocatori diviene pecunia publica non appena entra in possesso del soggetto incaricato di raccogliere il denaro”.
Conseguentemente, il gestore detiene gli incassi nomine alieno e commette il reato di peculato lì dove si impossessi dei proventi del gioco, anche per la parte destinata al pagamento del PREU, non versandoli al concessionario competente.
Così esprimendosi, le Sezioni Unite hanno fatto proprio l’orientamento maggioritario che riteneva, infatti, integrato il reato di peculato ex art. 314 c.p. proprio perché il denaro versato dai giocatori deve ritenersi fin da subito spettanza della P.A. e riscosso dal gestore in qualità di agente contabile con il successivo compito di versare all’Erario il PREU sulle giocate.
Il diverso orientamento (sent. n. 21318/2018) aveva ritenuto, a contrario, che “Il denaro incassato all’atto della puntata deve ritenersi non immediatamente di proprietà dell’erario, bensì interamente della società che dispone del congegno da gioco, anche per la parte corrispondente all’importo da versa a titolo di Prelievo Unico Erariale”. Così argomentando, il gestore del gioco veniva identificato quale soggetto passivo d’imposta perché entrava nel possesso delle somme materialmente prelevate dagli apparecchi da gioco già dal momento della giocata.
Secondo questa pronuncia isolata, e come visto superata dalla recente sentenza delle Sezioni Unite, si sarebbe trattato di una semplice omissione di versamento di un tributo da parte dell’impresa gestore di gioco lecito.
avv. Federica Beltrame