Con la recente delibera n. 200/2021, depositata il 30 settembre 2021, la Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna della Corte dei Conti è tornata a pronunciarsi in tema di partenariato pubblico-privato (PPP), dopo aver già reso – tramite la delibera n. 3/2021 – importanti chiarimenti sulla corretta allocazione dei rischi, con particolare riferimento alla locazione finanziaria di opere pubbliche o di pubblica utilità (leasing in costruendo).
La delibera in esame si segnala per aver dato ulteriore impulso alla costruzione di operazioni di PPP che siano autenticamente rispondenti alle regole di ripartizione dei rischi tra P.A. e privato tracciate dal Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016), dalle Linee guida n. 9 (Del. ANAC 28 marzo 2018, n. 318) e dalle decisioni Eurostat (segnatamente, quella dell’11 febbraio 2004).
Anche in questa occasione ad interpellare la Corte è stato il Comune di Salsomaggiore Terme, che stavolta ha chiesto specificamente se i canoni di disponibilità che l’Amministrazione versa all’affidatario del contratto per il godimento dell’opera concorrano al raggiungimento del limite di contribuzione pubblica individuato dal legislatore nel 49% del costo dell’investimento complessivo (art. 180, comma 6, D.Lgs. n. 50/2016).
Nel rispondere al quesito, la Sezione ha ricordato innanzitutto che il quadro normativo vigente richiama la P.A. ad una valutazione complessiva dell’operazione che si intende concludere con il privato, allargata a tutto il sistema di clausole, garanzie ed oneri finanziari, a prescindere dalla qualificazione nominale degli istituti. Dopodiché, ha evidenziato che il canone di disponibilità è il corrispettivo, soggetto ad adeguamento monetario secondo le previsioni del contratto, che viene versato all’affidatario soltanto in corrispondenza alla effettiva disponibilità dell’opera ed è proporzionalmente ridotto o annullato nei periodi di ridotta o nulla disponibilità della stessa per manutenzione, vizi o qualsiasi altro motivo non rientrante tra i rischi a carico dell’amministrazione aggiudicatrice secondo le modalità ed i limiti che devono essere previsti nel capitolato prestazionale. Con il canone viene quindi remunerato il servizio che rende disponibile il bene e proprio per questa sua funzione, secondo la Corte, si presenta come corrispettivo unitario non scorporato tra la parte che remunera l’investimento e quella che garantisce la gestione.
Da tale constatazione i giudici contabili traggono la conclusione che le condizioni disciplinanti l’erogazione del canone vanno opportunamente regolamentate nel bando e nella dimensione contrattuale successiva e devono essere idonee a garantire che il rischio di disponibilità sia effettivamente traslato in capo all’operatore economico, con la conseguenza che il canone non può essere automatico, bensì legato ai livelli prestazionali dell’opera o del servizio, al mancato raggiungimento dei quali si applicheranno decurtazioni automatiche tali da incidere significativamente sullo stesso canone fino ad azzerarlo.
In altri termini, le norme contrattuali devono definire puntualmente le “performance di disponibilità” dell’opera con connesso ed effettivo meccanismo automatico e proporzionale di decurtazione dei pagamenti. Laddove tale meccanismo manchi o sia inefficiente – è il ragionamento della Corte – i canoni di disponibilità costituiranno indebitamento per la P.A. e, pertanto, concorreranno al raggiungimento del limite massimo di contribuzione pubblica di cui all’art. 180 del Codice dei contratti pubblici. Sulla scorta di tale insegnamento, è quindi opportuno che le amministrazioni prestino la massima attenzione, effettuando tutti gli approfondimenti istruttori del caso, affinché il meccanismo di adeguamento dei canoni sia effettivo ed efficace.
Il testo delle delibere sopracitate è liberamente consultabile sulla banca dati della Corte dei Conti.
Avv. Nicolò F. Boscarini