Con la sentenza del 6 aprile 2023 il Tribunale di Milano ha richiamato i principi che l’ordinamento giuslavoristico ha fatto propri nel più recente passato – anche grazie all’apporto del diritto dell’Unione Europea – in relazione all’esigenza di assicurare una particolare protezione ai lavoratori portatori di potenziali fattori di discriminazione o, comunque, che si trovino in condizioni personali destinate a incidere negativamente sulla loro vita professionale.
Sulla scorta della recente giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea e della Corte di Cassazione (da ultimo Cass. sez. lavoro n. 9095/2023), il Tribunale del capoluogo lombardo ha dichiarato nullo il licenziamento subito da una lavoratrice per superamento del comporto, in quanto ritenuto discriminatorio in via indiretta atteso che le era stato applicato il medesimo termine dei lavoratori non disabili, senza escludere le assenze dovute alla sua disabilità.
Il Giudice di merito ha ritenuto irrilevante la circostanza che il datore di lavoro non conoscesse lo stato di disabilità della lavoratrice, affermando che la discriminazione opera su un piano esclusivamente oggettivo.
Per il Tribunale del capoluogo lombardo “L’assunto della assoluta equiparabilità della condizione del lavoratore invalido con quella del lavoratore non disabile ma affetto da malattia – e, quindi, della possibilità di applicare ai primi la medesima e indistinta disciplina in materia di comporto – porterebbe, inevitabilmente, a regolare nel medesimo modo due situazioni radicalmente e sostanzialmente differenti, violando il principio di uguaglianza sostanziale e, prima ancora, dando luogo a una discriminazione indiretta. Tanto si afferma in quanto i lavoratori invalidi sono soggetti portatori di uno specifico fattore di rischio che ha quale ricaduta più tipica, connaturata alla condizione stessa di disabilità, quella di determinare la necessità per il prestatore sia di assentarsi più spesso per malattia sia di ricorrere, in via definitiva o per un protratto periodo di tempo, a cure periodiche; di qui, necessariamente, l’esigenza di interpretare la disciplina in materia di comporto in una prospettiva di salvaguardia di quei lavoratori che, portatori di disabilità, si trovino in una condizione di oggettivo e ineliminabile svantaggio”
La stessa Corte ha chiarito che i contratti collettivi che non prevedano un periodo di comporto più lungo per i lavoratori portatori di handicap rientrano nell’ipotesi di “discriminazione indiretta”, dato che il lavoratore disabile è soggetto al rischio di più frequenti assenze per malattia collegate alla propria disabilità.
avv. Stefania Massarenti