Il nuovo codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 36/2023), che si applicherà alle gare bandite dal prossimo 1° luglio, oltre a confermare il divieto per le imprese partecipanti alla gara di ribassare i costi della sicurezza prestabiliti dal Committente, introduce un analogo divieto di ribasso anche per i costi della manodopera.
Così recita l’art. 41, comma 14, del nuovo codice, in applicazione del criterio di delega di cui all’art. 1, comma 2, lettera t), della Legge n. 78/2022: “I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso”.
La norma sembra reintrodurre una vecchia regola contenuta nel codice del 2006, poi superata dall’evoluzione normativa (con il codice del 2016) e giurisprudenziale, i cui approdi sono così riassumibili:
- non sono ribassabili i trattamenti minimi salariali retributivi indicati nelle tabelle ministeriali sul costo del lavoro, derivanti da previsioni inderogabili di legge o dei contratti collettivi;
- invece, gli importi relativi alle altre voci che compongono il costo della manodopera (ad esempio, gli oneri previdenziali e assicurativi, altri oneri come l’adesione alla previdenza complementare, l’incidenza del tasso di assenteismo, ecc.) sono derogabili dall’impresa, rispetto ai relativi valori (medi) indicati nelle tabelle di riferimento, purché lo scostamento sia motivato e non sia eccessivo.
Occorre, quindi, chiedersi se tali approdi normativi e giurisprudenziali siano ora travolti dalla nuova norma, nella misura in cui quest’ultima sembra estendere il divieto di ribasso, indistintamente, a tutti i costi della manodopera predeterminati dal Committente nei documenti di gara.
In realtà, a “disinnescare” la portata apparentemente deflagrante della nuova previsione è lo stesso art. 41, comma 14, che così chiarisce: “Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”.
Sul punto anche il Consiglio di Stato (Sez. V, n. 5665 del 9 giugno 2023), pur dando atto che il nuovo codice «opera una netta “inversione di rotta” rispetto al d.lgs. 50/2016», sottolinea che resta «salva la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che un ribasso che coinvolga il costo della manodopera sia derivante da una più efficiente organizzazione aziendale così armonizzando il criterio di delega con l’art. 41 della Costituzione».
Nello stesso senso militano anche ulteriori norme del nuovo codice, in particolare:
- l’art. 91, comma 5, e l’art. 108, comma 9, che confermano l’obbligo del concorrente di dichiarare in offerta “i costi del personale”, a pena di esclusione dalla gara (salvo solo per le forniture senza posa in opera e per i servizi intellettuali): ebbene, non avrebbe senso mantenere quest’onere dichiarativo, se l’impresa non potesse più discostarsi dall’importo prestabilito dal Committente;
- l’art. 110, comma 5, lettera d), in tema di verifica della congruità dell’offerta, che conferma la regola per cui l’offerta va automaticamente esclusa solo quando il costo del personale dichiarato dall’impresa è inferiore ai minimi salariali retributivi.
D’altronde, “una più efficiente organizzazione aziendale”, in grado di giustificare un minor costo del personale, può derivare non solo dai fattori sopra ricordati (relativi a specifiche voci di costo), ma anche dal piano gestionale congegnato dall’impresa per l’esecuzione della commessa.
Si pensi al caso in cui l’impresa offerente, fermo il rispetto degli standard minimi prescritti dalla legge di gara, preveda l’impiego di un minor numero di lavoratori rispetto a quello stimato dal Committente, e/o un loro utilizzo più flessibile, oppure – ancora – preveda l’esecuzione di una certa lavorazione in minor tempo, grazie a particolari efficienze gestionali che contraddistinguono il proprio processo produttivo od organizzativo.
In tutti questi casi, imporre all’impresa il rispetto inderogabile del costo della manodopera indicato dal Committente costituirebbe una violazione della libertà dell’iniziativa economica privata, tutelata dall’art. 41 della Costituzione.
Al contempo, tuttavia, la scelta del Legislatore di introdurre, nel nuovo codice, la regola della vincolatività (sebbene solo tendenziale) dei costi della manodopera, comporterà – in capo alle imprese che intenderanno derogarvi – un onere di motivazione dello scostamento ancora più stringente rispetto al passato.
avv. Matteo Parini