Con la sentenza n. 539 del 24 ottobre 2023, la Sezione Lavoro della Corte d’Appello di Bologna ha preso in esame il caso di un dirigente vincolato, ad una società leader nel settore dei prodotti di imballaggio, da un patto di non concorrenza il cui ambito di operatività era esteso all’intero territorio nazionale.
In primo grado, il Giudice del Lavoro del Tribunale di Ravenna aveva respinto le richieste della società ricorrente di vedere condannato il proprio ex dipendente per le asserite reiterate violazioni del patto di non concorrenza, osservando, in punto di estensione territoriale dell’efficacia del patto, che “L’ambito territoriale del patto va ravvisato nel solo mercato italiano. Il riferimento al territorio italiano, infatti, non può che essere riferito all’ambito del mercato di riferimento e non già alla sede di lavoro del lavoratore (né tantomeno alla sede legale del datore di lavoro). Il tipo di rapporto intercorso tra la ricorrente ed il lavoratore, infatti, vedeva quest’ultimo quale addetto commerciale. Ne consegue che l’ambito applicativo del patto va parametrato all’ambito commerciale di operatività dell’azienda. E quindi territorio italiano significa mercato italiano”.
Secondo la prospettiva della società appellante, invece, ciò che rilevava non erano le attività effettivamente eseguite dal lavoratore, né i mercati in favore dei quali queste attività erano svolte, bensì esclusivamente il luogo fisico della sede di lavoro, ovvero il territorio nazionale.
La Corte d’Appello, in punto di clausola territoriale, ha invece confermato la sentenza di primo grado, aderendo al ragionamento e all’esegesi operata dal primo giudice.
In particolare, la Corte di Bologna ha osservato che l’ambito applicativo del patto va parametrato all’ambito commerciale di operatività dell’azienda e quindi “territorio italiano” sta a significare “mercato italiano”.
Un’interpretazione – quale quella dei giudici di merito emiliani – coerente con la realtà socioeconomica in cui agiscono attualmente gli operatori economici, imprese e lavoratori, richiede necessariamente che il concetto di “territorio” ex art. 2125 cod. civ. non venga rigidamente inteso come parametro fisico dove collocare o meno una postazione di lavoro (specie per i lavori di natura intellettuale ed eseguiti per il tramite di strumenti tecnologici e rete Internet), bensì quale spazio nel quale si riflettono gli effetti della prestazione lavorativa.
A parere della Corte d’Appello di Bologna, pertanto, nel caso in esame l’unica interpretazione che fa salvo il patto di non concorrenza stipulato tra le parti è quella per cui per “territorio” deve intendersi non tanto lo spazio geografico dove è collocato l’ufficio del lavoratore, quanto quello in cui la sua prestazione lavorativa produce concreti riflessi.
avv. Stefania Massarenti