Il consigliere comunale ha un ampio diritto di accesso a informazioni e atti del proprio Comune: l’art. 43, comma 2, del D. Lgs. n. 267/2000 gli attribuisce, infatti, il diritto di ottenere dagli uffici del Comune – e dagli uffici delle aziende o degli enti da esso dipendenti – “tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato”. Identico diritto è previsto per i consiglieri provinciali, rispetto agli atti della Provincia.
È pacifico che l’Ente locale non può “filtrare” la richiesta di accesso del consigliere, decidendo discrezionalmente quali notizie siano, o meno, utili all’esercizio del mandato consiliare: se così fosse, il diritto di accesso del consigliere verrebbe compromesso e risulterebbe frustrata la finalità di controllo politico dell’Ente locale, attribuita al consigliere dal nostro ordinamento.
Per la stessa ragione, non si può pretendere che la richiesta di accesso del consigliere sia subordinata ad un approfondito onere di motivazione.
Tuttavia, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che il diritto del consigliere incontra un limite: quello della stretta funzionalità dell’accesso all’assolvimento dei suoi compiti istituzionali.
Per un’applicazione pratica di questo limite si segnala la recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3564 del 6 aprile 2023: il caso riguardava la richiesta di accesso di un consigliere comunale a tutto il protocollo del Comune, in entrata ed in uscita, per un periodo di tre anni.
Nello specifico, il consigliere aveva chiesto al Comune la trasmissione, con cadenza settimanale, dei report di “sintesi” del protocollo, con indicazione del numero di protocollo, oggetto e data.
Il Consiglio di Stato, ribaltando la sentenza di primo grado del Tar Lombardia, ha ritenuto illegittima la richiesta di accesso, perché, stante la sua “latitudine”, non risultava “strettamente funzionale ai compiti che deve assolvere il consigliere”, ed anzi avrebbe bloccato il funzionamento degli uffici comunali, creando una sorta di amministrazione “parallela”.
Come osservato dai Giudici di appello, “il diritto del consigliere, che non è illimitato, trova un limite nella sua funzione stessa (che non è quella di affiancarsi alla struttura amministrativa istituendo, in concreto, una nuova figura organizzativa e dunque nuovi assetti funzionali e ulteriori modelli procedimentali) e soprattutto nel principio di proporzionalità dell’azione amministrativa”.
La sentenza ha sottolineato, inoltre, la differenza tra la richiesta di accesso in questione ed altri casi vagliati dal Consiglio di Stato, favorevoli invece all’accesso del consiglieri: mentre in quei casi la richiesta di accesso aveva un ”perimetro di azione e di conoscenza delimitato” – ad esempio, la gestione della tassa sui rifiuti (sentenze n. 2189/2023 e n. 3161/2021), la concessione di benefici post-Covid (sentenza n. 2089/2021), o abusi edilizi territorialmente e temporalmente circoscritti (sentenza n. 8667/2022) – nel caso di specie la richiesta di accesso si estendeva “irragionevolmente e indistintamente” a “tutta l’attività dell’amministrazione comunale”.
Questa pronuncia può segnare un importante “spartiacque” tra il più tradizionale orientamento della giurisprudenza, volto a riconoscere quasi in automatico il diritto di accesso del consigliere comunale, e l’orientamento diffusosi in epoca più recente, maggiormente attento a valutare – in primo luogo – l’esistenza di un diretto nesso funzionale tra l’accesso e i compiti istituzionali del consigliere, e – in secondo luogo – le concrete ricadute che l’accesso comporta sul funzionamento degli uffici e, quindi, sul buon andamento dell’azione amministrativa, tutelato dall’art. 97 della Costituzione.
avv. Andrea Mascetti | avv. Matteo Parini