Con la sentenza n. 8412 del 21 ottobre 2024, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato mostra di condividere e valorizzare una concezione del potere pianificatorio comunale che affonda le proprie radici nell’orientamento già tracciato con riguardo al noto “caso Cortina” (Cons. Stato, Sez. IV, n. 2710/2012). Alla base di tale concezione si pone una nozione di urbanistica – o, per meglio dire, di “governo del territorio”, espressione significativamente introdotta dalla L. cost. n. 3/2001, in sostituzione della precedente, nell’art. 117, comma 3 Cost. – non limitata alla mera disciplina coordinata dell’edificazione dei suoli, ma che si traduce (deve tradursi) in una regolamentazione dell’utilizzo delle aree intesa anche a realizzare finalità economico-sociali della comunità locale.
Vero è che, lungi dall’essere del tutto innovativa, detta impostazione emerge in filigrana fin dal dettato della Legge urbanistica fondamentale n. 1150/1942, che all’art. 1 individua il contenuto della ‘‘disciplina urbanistica e dei suoi scopi’’ tanto nell’‘‘assetto ed incremento edilizio’’ dell’abitato, quanto nello ‘‘sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica’’.
La decisione qui in esame, tuttavia, pone chiaramente in luce come l’esercizio del potere di pianificazione non possa risolversi nel coordinamento delle potenzialità edificatorie del territorio connesse al diritto di proprietà, dovendo essere piuttosto ricostruito nei termini di un intervento operato dagli Enti esponenziali in funzione del complessivo e armonico sviluppo del territorio stesso.
Da queste premesse il Consiglio di Stato fa discendere che “l’ambito di discrezionalità del Comune nel determinare le scelte che incidono sull’assetto del territorio comunale è quindi molto ampio sia nel quid che nel quomodo”. Affermazione, come è evidente, non priva di riflessi pratici.
La sentenza si incentra infatti sulla facoltà dell’Ente di modificare le proprie scelte di pianificazione in un momento successivo all’approvazione di un piano attuativo, ma prima della stipula della relativa convenzione urbanistica.
Prendendo a sostegno i principi sopra esposti, il Consiglio di Stato rileva che, in tale ipotesi, legittimamente il Comune “può rivedere le proprie determinazioni pianificatorie sulla medesima area (e quindi, conseguentemente, decidere di non stipulare più la convenzione medesima)”. Il perfezionamento dello strumento urbanistico attuativo interviene infatti solo dopo la stipula della convenzione e la sua trascrizione, le quali – secondo indirizzo ermeneutico consolidato in giurisprudenza – rappresentano condizioni di efficacia della delibera di approvazione del piano.
Nella fase anteriore alla formalizzazione dei rapporti convenzionali, dunque, la discrezionalità valutativa dell’Ente in punto di disciplina urbanistica del territorio può esercitarsi pienamente, senza che sia opponibile un affidamento qualificato del privato rispetto ai contenuti del piano approvato.
In conclusione, la pronuncia in argomento rafforza, su basi di teoria generale, l’orientamento secondo cui, in mancanza di una convenzione sottoscritta, il soggetto interessato alla definizione di un piano attuativo non può confidare nel mantenimento di una destinazione edificatoria non peggiorativa di quella anteriormente impressa alla propria area, ma è titolare solo di un’aspettativa generica, analoga a quella di chiunque aspiri all’utilizzazione più proficua del proprio immobile: posizione, quindi, cedevole rispetto alle scelte urbanistiche dell’Amministrazione.
avv. Gregorio Paroni