Durante il periodo di prova, le parti possono decidere di recedere liberamente dal rapporto di lavoro senza obbligo di preavviso o indennità, come previsto dall’art. 2096 del Codice Civile.
Oltre al requisito formale della forma scritta, il patto di prova deve indicare in modo chiaro e preciso le mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere, per consentire allo stesso di mettere a disposizione le proprie attitudini e competenze professionali e, al contempo, fornire al datore di lavoro elementi utili per esprimere un giudizio sull’esito della prova esperita.
Sul tema della specificità delle mansioni oggetto del periodo di prova si sono recentemente espresse la Corte d’Appello di Milano e quella di Roma, giungendo alle medesime conclusioni.
Con la sentenza n. 258 del 6 marzo 2023, la Corte d’Appello di Milano, riformando la decisione del Giudice del Lavoro, ha ritenuto nullo il patto di prova apposto al contratto di lavoro per genericità delle mansioni indicate “atteso che la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria insindacabile valutazione sull’esito della prova presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate e indicate”.
A sostegno di questa decisione, la Corte d’Appello ha richiamato l’orientamento della Suprema Corte (ex multis Cassazione sent. n. 1099/2022) secondo il quale il patto di prova deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, essendo ammesso il richiamo alla contrattazione collettiva di settore esclusivamente in presenza di un rinvio sufficientemente analitico.
Sotto il profilo sanzionatorio, per la Corte d’Appello meneghina l’indeterminatezza delle mansioni del patto di prova comporta la conversione del rapporto in prova in un ordinario rapporto a tempo indeterminato che può essere interrotto solo applicando il regime ordinario in materia di licenziamenti.
Da ciò discende che l’illegittimo recesso in prova è disciplinato dall’art. 2 del D. Lgs. n. 23/2015 che prevede la sanzione della nullità e la conseguente condanna del datore di lavoro alla reintegrazione in servizio del lavoratore ed il risarcimento danni pari a tutte le retribuzioni non percepite dal recesso fino alla ripresa del lavoro.
Parimenti, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 4949/2022 pubblicata in data 17 gennaio 2023, si è pronunciata sancendo la nullità del patto di prova e quindi l’illegittimità del recesso intimato dall’azienda, affermando che il semplice richiamo alla qualifica contenuta nel CCNL applicato non è idoneo a integrare una chiara e specifica indicazione delle mansioni oggetto della prova e, pertanto, la mancanza di tali indicazioni non consente al lavoratore di contestare il mancato superamento del periodo di prova e al Giudice di effettuare la verifica in concreto.
Alla luce di tali pronunce, al fine di evitare di incappare in eccezioni di nullità del patto di prova, in occasione dell’assunzione occorrerà provvedere a indicare con sufficiente specificità l’incarico e le mansioni assegnate al lavoratore in prova.
avv. Stefania Massarenti